giovedì 20 gennaio 2011

E’ il vintage la risposta alla tanto discussa “omologazione”ALLA moda?

Domanda aperta a Franca Sozzani. 
             Provocazione per tutti i lettori:                     

  it’s only a joke?





E’ di ieri, l’editoriale di Franca Sozzani  che riporta l’attenzione sull’omologazione ALLA moda e suggerisce un’inversione di rotta: l’anarchia? Meglio!


Omologazione alla moda, malattia che a quanto pare colpisce più gli uomini, che di norma tendono a privilegiare “un look da replicante” quasi fosse “una conditio sine qua non per poter lavorare”.              Ne derivano spesso adorabili (!) parate in divisa con “abito grigio o gessato e cappotto blu, o l'impermeabile kaki” nei casi “SAFE”. “Esci da questi canoni e diventa il caos: Dandy, Mods, Rocker, City Golf Player, Navaho Cittadino, Cowboy Urbano, Metropolitano Etnico, Playboy Seventies. E altri.”

Moda presa come “un breviario di regole comportamentali ed estetiche” per non osare troppo, per aderire ad una classe, per sentirsi accettati?
 (le frasi tra “…” qui sopra sono tratte dall’articolo "Anarchia della Moda maschile" del 19/01/11 di F. Sozzani Blog del Direttore - Vogue.it)

Sintomi, questi, di insicurezza estetica, che non possono che generare appiattimento e segnalano un profondo vuoto di contenuti, come rigidi atteggiamenti mentali.

Ci chiediamo come se ne possa uscire. I rimedi non possono che essere soggettivi, ma ricominciare a vestire, valorizzando la persona, quindi indossando solo ciò che dona alla figura, potrebbe essere un inizio.
Ma non basta! Un grido si leva e denuncia il crescente appiattimento culturale, di cui l’abbigliamento portato abitualmente ne è lo specchio.
Mi domando se non é giunto il momento di cambiare prospettiva e prendere la moda, non come legge imposta dall’alto, ma come ci suggerisce la Direttrice di Vogue, come “un contenitore di idee e proposte” da scegliere, selezionare per abbinare al soggetto.

Qui, a mio modesto parere, sta il nocciolo della questione. Sono, le persone, abbastanza preparate all’osservazione analitica dei tanti spunti che gli stilisti ci offrono? O sono più brave nello “scimmiottamento” del pacchetto moda da prendere in toto, offerto dalle passerelle?

Per riuscire nella scelta dei giusti indumenti e accessori tra i tanti, occorre aver assunto un minimo di consapevolezza di se stessi. Non vorrei citare l’espressione “avere gusto”, perché questa è una qualità innata, come il talento per un artista, che c’è o no, e forse puo’ soltanto esser migliorata.

Cosa intendo? Avere prima di tutto la visione del proprio corpo su cui basare la scelta dei modelli: se si è alti, bassi, magri o sovrappeso, gambe non slanciate…

Poi finalmente la scelta dello stile dei capi, che puo’ anche non essere univoco e cambiare a seconda delle occasioni, ma rispecchiare quanto meno le caratteristiche personali, visto che utopistico sarebbe auspicare inquadrarla come espressione della propria personalità.

Sicuramente il processo appena descritto non è di facile realizzazione.

Esiste la cura?

Il Vintage?!

Fare un lungo periodo terapeutico nei negozi, che propongono abiti “d’annata”, perché questo pare sia il vero significato del termine, che deriva dal settore vinicolo francese.

Come si fa a scegliere un vino d’annata se non si ha la capacità di riconoscerne le caratteristiche organolettiche, o ancor prima le qualità percepite dall’impatto visivo, dai sensi dell’olfatto e finalmente del gusto?

Non mi riferisco naturalmente ad un tuffo nei negozietti dell’usato, ma negli store che propongono vero Vintage, quello che nacque con il piano Marshall dalla necessità degli aiuti ed introduce al nuovo pensiero del “riciclabile”.

Stile oggi sviluppato in vere e proprie collezioni di “capi d’autore”, che includono esemplari introvabili delle maggiori firme dagli anno ’50 ad oggi, e/o creazioni di nuovi stilisti, che rielaborano old models con abilità sartoriale, contaminandoli con linee attuali.

Una volta all’interno di questi templi della storia del costume, potremmo restarne schiacciati, se non iniziamo a raffinare lo sguardo, imparando a riconoscere i modelli in base ai decenni, ai tagli cult di alcuni fashion designer, a toccare i tessuti per distinguerne la qualità, le lavorazioni ed i colori. Avvertenza per l’uso: tutto deve essere provato, provato e accostato.

L’esperimento potrà ritenersi riuscito, se il fan del capo di moda o griffato “a tutti i costi” verrà fuori da questa esperienza di vita Vintage, senza essere agghindato in stile Baule della Nonna, ma avrà acquisito una propria idea di stile.

Solo allora sarà anche possibile, che riesca ad uscire da una boutique alla moda, avendo frenato l’istinto da acquisto conformista e compulsivo.

Nessun commento: