martedì 8 febbraio 2011

Marina Abramovic: anteprima italiana di Seven Easy Pieces

Dopo un'attesa durata anni, finalmente torna a Bologna la regina internazionale della performance.
Marina Abramovic presenta ad ArteFiera 2011 in anteprima assoluta per l'Italia il suo ultimo film Seven Easy Pieces.

L'evento, a cura di Renato Barilli, patrocinato da UNIBOCultura, Università degli Studi di Bologna ed ArteFiera Art First si svolge all'interno dell'Aula Magna di Santa Lucia e prevede un incontro/ intervista con l'artista.


Il film, per la durata di 95 minuti, tiene incollati gli spettatori che attoniti, vivono l'angosciante tensione, espressa inequivocabilmente dall'autrice.

Sette film in uno. I primi cinque video sono l'efficace reinterpretazione di Abramovic delle celebri performance storiche realizzate negli anni '60 e '70 da Vito Acconci, Joseph Beuys, Valie Export, Gina Pane e Bruce Nauman, per concludersi con due dei più importanti visual extended clip della stessa.

Fu il Guggenheim Museum di New York ad invitare l'artista per una serie di performance, che racchiudessero il core della recente storia del genere artistico. Da qui film per la regia della film maker Barbette Mangolte, che fu presentato tra il 9 ed il 15 novembre 2005 al Guggenheim, successivamente premiato al Festival del Cinema di Berlino nel 2007 e che continua a riscuotere i pareri favorevoli della critica e del pubblico ai più importanti festival in Israele Polonia, Australia, Canada, Giappone.

Qual'é la ricerca di Abramovic attraverso l'utilizzo della performance art?

E' possibile parlare di un'indagine del confine, con cui ogni essere umano é costretto a confrontarsi, vivendo? Il limite del corpo, messo a dura prova in situazioni estreme di resistenza, quasi a testare il punto di risveglio dall'indifferenza di chi ha subito e disilluso muove, bramando il contatto emotivo con il sé, viatico terreno per riflessioni superiori.

La sensualità irriverente, il nudo provocatorio, pornografico se seriale, dolcezza nel disgusto mediante l'atonalità espressiva, a tratti brechtiana.

In fondo, la rappresentazione dell'eterna lotta, del viscerale dualismo tra vita e morte.

Il legame della performer con Bologna risale all'estate del 1977, quando alla Galleria di Arte Moderna, si tenne la Prima Settimana Internazionale della Performance e l'artista fu protagonista insieme al suo allora compagno Ulay di una performance che consisteva nel porsi nudi all'ingresso della galleria, impedendo il passaggio dei visitatori. L'imbarazzo nell'obbligato passaggio e le sue mille sfaccettature nelle reazioni delle persone filmate e proiettate in contemporanea sull'atrio: il paradosso del luogo comune che si ripresenta comunque a contatto con la verità della forma umana smascherata?

Nonostante non intervennero censure ai due artisti venne ritirato il passaporto e questo fu l'inizio di un legame di Abramovic con Bologna, che non puo' non ricordarla nel carattere più estremo della sua arte.

Alla Galleria G7 si ricorda la performance della coppia, in cui legati insieme per i capelli, provavano per ore la durezza di resistere fisicamente e psichicamente: paradiso ed inferno del legame affettivo e carnale?
L'artista presente di persona alla proiezione in Aula Magna commenta le Seven Pieces, ricordando il tentativo di riprodurre la tendenza della cultura contemporanea da un lato a sublimare il vissuto sempre più frenetico, ad attimo fuggente, volontà di elevarlo a magico istante e rituale, e dall'altro nelle sue manifestazioni più basse e corporali riconoscere un'aura sacra. Fondamentale per Marina é la presenza del pubblico che rende la performance reale, unica ed irripetibile date le possibili interazioni dello studio messo in scena ed il contesto.

Dopo un breve periodo di riflessione dopo la separazione dal suo compagno di vita, ritorna al successo con la consacrazione del Leone d'Oro di Venezia nel 2007 per Balkan Baroque: lei, in cima ad un cumulo di ossa, indaffarata a raschiarle con la carta vetrata nel tentativo di purificarle. Performance per esorcizzare le stragi, che dilaniavano il suo paese.

I Balcani, infinita ispirazione e nel contempo ossessione del paese natale, la portano a lavorare, avvicinandosi ai miti ancestrali coltivati fin dall’infanzia, di maschi che copulano con la terra, o di donne che tentano di farsi fecondare dalla pioggia, mentre lei stessa non ha esitato a presentarsi abbracciata a uno scheletro, simbolo della sua volontà di affrontare in ogni occasione i rischi più minacciosi, vita e morte congiunte in un unico vincolo.

Puo' essere giudicato blasfemo il gusto, messo in scena da Abramovic?

Forse, ma é proprio nel disappunto viscerale che s'instaura la reazione più profonda.

A questo proposito pare naturale la domanda di uno spettatore, che chiede all'artista se avesse mai pensato di rappresentare il culmine della vita per l'arte con l'esecuzione della sua morte.

Marina Abramovic non esita e ribadisce con forza che lei ama profondamente la vita e che é grazie a questo suo legame forte con essa, che non evita di ricordare l'opposto, confrontandocisi metaforicamente per sublimarne la pienezza.

L'arte che cerca di realizzare non si confronta altro che con spazio/ tempo e pubblico, queste le strutture portanti che reggono il dualismo dei contenuti. Esistono solo due categorie per l'arte: essa puo' essere giudicata bella o brutta... tutto il resto é mancanza di bergsoniana ironia.

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