martedì 7 dicembre 2010

Things, we make, make us: Festival Sustain/Ability Treviso 2-4 dicembre 2010


Un Festival-simposio che mette al centro la sostenibilità nel design.
Nuova risorsa economica su cui puntare, ribaltando il paradigma capitalistico del consumismo al fine di creare una nuova “ricchezza etica”.

Treviso: successo per il Festival Sustain/Ability, dedicato al design sostenibile promosso da Treviso Design con il patrocinio di Unindustria Treviso, Università IUAV di Venezia e con la importante collaborazione di Werkbundarchiv- Museum der Dinge di Berlino.
Si fanno le stime della manifestazione che ha riscosso un forte interesse, da parte del pubblico specialistico e dai non-addetti-ai-lavori.

Obiettivo della manifestazione: informare e creare sinergie tra le università, i centri di ricerca, gli enti pubblici e le realtà industriali intorno al concetto di “sostenibilità”.
Il coordinatore del progetto, Renzo di Renzo, afferma come il requisito di “sostenibile” sia divenuto oggi “imprescindibile” e passaggio necessario, per lo sviluppo della progettazione industriale, come dimostrato dall’esperienza del trevigiano, luogo esempio di creatività messa al servizio delle aziende, che ha portato già molti risultati nel senso del risparmio (energetico, di smaltimento di rifiuti/ prodotti di scarto, costi di produzione e delle materie prime) e dello sviluppo economico conseguente.

Da qui parte la sfida della competitività nel settore, che non puo’ che superare i confini territoriali.
Che cosa s’intende con la parola “sostenibile”?
“…Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”
(Rapporto Brundtland – Commissione Mondiale sull’ambiente e lo sviluppo WCED, 1987).

Si tratta sicuramente di un concetto dirompente quanto rivoluzionario, perché ridisegna le dinamiche economiche, introducendo l’idea di SVILUPPO ETICO.

Partecipi, tutti della crisi finanziaria mondiale e delle sue conseguenze nei debug dei bilanci degli stati, poche volte ci soffermiamo a riflettere sull’entità dell’emergenza.

Il mondo diviso da tempo in paesi di serie A e paesi di serie B.
La legge del più forte regola da sempre i trend economici e determina scenari di devastazione,
fame e povertà.
L’idea di economia di mercato nasce per far fronte ai bisogni primari delle popolazioni.
In Occidente dalla seconda metà del ‘900, da quando la ricchezza si è mediamente diffusa e la prima necessità soddisfatta, l’economia ha dovuto inventare i bisogni, che sarebbero stati colmati da “cose”, “oggetti”, “prodotti”, sofisticando il linguaggio a tal punto da dare “vita” agli oggetti.

Un esempio autorevole:

“THINGS, WE MAKE, MAKE US”: questo lo slogan di CHRYSLER, una delle aziende americane, fuoriclasse nel settore automobilistico.
E’ sopravvissuta alla crisi finanziaria a caro prezzo per gli americani, quanto e soprattutto per la gente di Detroit, che oltre al lavoro ha perso la casa, la città (oggi, disabitata all’80% appare pressoché lo spettro di ciò che fu, il sogno capitalistico), la propria vita.
Quale dignità da difendere? Dignità di poter lavorare a salari decenti per continuare ad avere una prospettiva?
Obama declinò il piano di aiuti, Marchionne si occupò della fusione e…il futuro?
Il futuro parla di nuovi piani industriali e l’augurio che questo punto rappresenti realmente una svolta, ma esiste anche il risvolto della medaglia: debiti da colmare, tassi d’interesse sempre più alti e nuovi compromessi tra classe dirigente e working class.Il tutto a discapito del know how, del valore aggiunto delle persone nella direzione, invece, di un mondo fatto di matricole, in cui é caccia grossa alla manovalanza a basso costo e la perdita di diritti ( diritti, non di garanzie o benefit) è sempre dietro l’angolo.
E’ possibile fermare questo meccanismo economico incessante, che tende a “falciare” ogni realtà come una lama rotante e che perpetra l’assestamento di un mondo in stato di debitore verso sé stesso?
Colpevoli le classi dirigenti che non hanno esitato ad avallare bolle speculative su bolle finanziarie già esistenti? Colpevoli i cittadini che ci hanno creduto? E poi? La globalizzazione. L’uomo ha introdotto qualcosa di cui non conosceva gli effetti.

 
L’antidoto? E’ rappresentato sicuramente da una presa di coscienza globale, in cui ogni gesto individuale determina una conseguenza sulla vita del pianeta, uomini e ambiente. Il rischio diventa un lavorare per il benessere di qualcosa, che potrebbe non esistere più.
Il 1. Festival sulla sostenibilità riporta all’attenzione del proprio pubblico la possibilità di un’alternativa, offre un reale stimolo nel ribaltamento della prospettiva di produzione:
analisi dei costi di un’impresa che cura la scelta della materia prima, privilegiando la materia riciclata o di scarto, che investe nella progettazione come fase fondamentale dello sviluppo, dove confluiscono nuove idee e metodologie innovative per confluire nella realizzazione del prodotto, che avrà un minor impatto ambientale e sulle persone, grazie alla scelta di nuove tecnologie.

Il motto è: "come fare non più, ma meglio".

Il crescente utilizzo delle conoscenze acquisite nella tecnica, l’introduzione della creatività nella progettazione, la riconversione dei processi di produzione con la creazione di filiere interaziendali, dove lo scarto dell’uno, puo’ determinare la materia prima del secondo (rintracciabilità dei rifiuti e eco-cluster).

Un metodo, questo, che genera profitto, abbassando i costi e creando ricchezza “etica”, pensando così al futuro delle prossime generazioni.

Gradualmente, queste potranno trovare il loro posto all’interno di un sistema, che non le ha escluse, a causa di rimedi economici miopi, che tamponano il qui ed ora per il mantenimento di un sistema troppo costoso per essere mantenuto, e che dietro la scusa della “coperta troppo corta” le esclude dal dibattito sulla crescita.

Positivo il feedback di tre giorni di eventi, un fitto calendario di appuntamenti e incontri, divisi in sezioni:

Sustainable Talks all’interno della Fondazione Benetton Studi Ricerche: cinque incontri dove sono state messe a confronto idee e progetti di industriali, designer, professionisti. Cinque, gli ambiti disciplinari diversi ma complementari toccati: Eco-Fashion; Lyfe Cicle Design; Energia e Design; L’utile e il bello; Comunicazione Visiva ed Editoria.

Il pubblico di non- addetti-ai –lavori è stato informato sui temi con Sustainable Speeches: conferenze su tematiche di più ampio respiro. Conferenza di chiusura, a cura di John Thackara, direttore e fondatore della piattaforma Doors of Perception, autore del libro «In The Bubble», per introdurre il grande pubblico al tema del design sostenibile.

La città è stata coinvolta fisicamente attraverso la creazione di Sustainable Itineraries: un percorso a tappe in città alla scoperta del design sostenibile. Esposti i prototipi realizzati dagli studenti dell’Università Iuav di Venezia, Studiomobile con le sue installazioni interattive, la linea Save Waste from Waste di Carmina Campus, un progetto promosso da Ilaria Venturini Fendi.

Sustainable Workshops: non potevano mancare i laboratori, in comunicazione di Roberto Duse, per la moda, Arturo Vittori e di prodotto con Pietra Pistoletto. Inoltre un laboratorio artistico dedicato ai bambini a cura di Claudia Catenelli.

In parallelo alla manifestazione, la mostra Design is sustainable a Palazzo Giacomelli in collaborazione con Werkbundarchiv- Museum der Dinge di Berlino (sino al 15/12/10), curata da Imke Volkers con Spazio XYZ, che racconta la storia del Deutsche Werkbund, movimento precursore del pensiero sostenibile applicato alla produzione industriale.

THINGS, DINGE, COSE: gli oggetti prendono vita e determinano la vita delle persone che li utilizzano, che li costruiscono, che li acquistano, non più nell’idea di crearne sempre di nuovi, ma rinnovando ciò che già esiste, decontestualizzato e con una nuova identità, una rinata funzione.

THINGS WE MAKE, MAKE US, dunque, il ribaltamento di prospettiva si puo’ compiere.

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