giovedì 30 dicembre 2010

Andrea Zannoni: scultura dirompente che celebra gli empty spaces e le tensioni della materia trasformata in forma.

Spiritualità che si svela, proiettata nello spazio e idea qualitativa dell'allestimento museale e domestico: benvenuta arte.

Andrea Zannoni, giovane artista toscano, dopo aver concentrato il proprio iter formativo, sperimentando i limiti della forma scultorea, ci mostra le proprie opere, parlandoci del lato creativo e di quello subito conseguente, delle possibili collocazioni delle stesse.

Scolpire, scontro fisico con la materia grezza e inerme, che si dimostra per l’artista pura attività conoscitiva, in cui la volontà plasmatrice, portatrice dell’idea inizialmente dominante, si trova presto incatenata in un dialogo attrattivo con l’oggetto informe, ma generante emozioni magnetiche.
La capacità di “ascolto”e visualizzazione delle singole venature del marmo, dirigono l’operazione sottrattiva dello scalpello, a liberare un’entità pre-esistente e non connotata, sublimandola a forma.

Nel caso della modellazione plastica, la costruzione va apporre strati grezzi, che diverranno crete o fusioni di bronzo, ma anche in questo caso la mente artistica afferma la propria supremazia, non vincolando il materiale all’idea pre-costituita, bensì facendo da guida ad esso per ridestare una struttura brillante, costituitasi nuova e di ritrovata bellezza, insieme.

Il particolare processo creativo di Zannoni si fa fenomenologia della materia, epoché husserliana, quale sospensione del giudizio rivolto al plasmare, eliminando ogni possibilità di limite e chiusura della materia entro una gestalt pre-costituita.
In una sorta di trance da serendipity, Zannoni ci conduce a nuove scoperte, incarnate nelle proprie opere, che si definiscono concluse quando il segno è stato trovato e la materia, ora ordinata, si lascia interpretare, arrivando senza mediazione all’occhio dell’osservatore, come significante.

Lo scopo di molte opere delineano la volontà di superamento della forma, intesa come rappresentazione del mondo esterno, uscendo dal paradigma classico di verosimiglianza, per giungere paradossalmente e comunque ad una forma, essenziale, quasi alfabeto di lettere, tenute insieme dall’emozione, scaturita dalla coacervo interno della materia, che con l’ausilio dello scultore si erge in una dimensione semantica a simbolo.
Impossibile non notare come si insinui nell’atto creativo, una sorta di meta linguaggio spirituale, che coinvolge pulsioni ancestrali, gradualmente svelate nei loro contrasti primitivi, archetipi che parlano direttamente all’individuo.

In Forma Primis è evidente tale modalità, con cui Zannoni affronta una materia, come il marmo nero del Belgio. La caratteristica forma di uovo ancestrale di brancusiana memoria, scavato al suo interno, quasi un seme aperto, simbolo di vita nascente e già in bilico tra il restare chiuso in sé, nucleo vitale che racchiude infinite possibilità di auto-rappresentazione ed il suo svilupparsi, prima che sia troppo tardi.

Tensione, questa, sottolineata dal contrasto tra le superfici, quella interna , ruvida e sofferta che lascia pensare al luogo caotico, irrazionale e pulsante dell’interiorità versus la splendida lucentezza di un involucro-maschera a protezione.

La morbidezza di Forma Primis in un delicato equilibrio tra concavo-convesso e tuttavia in movimento, data la predominanza della linea curva, sembra voler sottolineare sarcasticamente l’intensa drammaticità in atto tra il lato esterno, concesso ed il lato-altro, scoperto, ma celato ed incomprensibile.
Il materiale sublima l’uovo ancestrale, catturando in profondità l’alchimia dell’incubo, della staticità-finzione ed il sogno della contemporaneità dei mondi possibili.



Il marmo di Carrara è complice di Onda Labronica, dove la tensione della forma dinamica si fa ai massimi livelli. Una conchiglia marmorea, l’essere convulso del moto ondoso, che scavalca la regolarità della frequenza, da cui trae solo ispirazione, per farsi altro.

Zannoni fotografa l’indeterminatezza della forma in movimento, fatta di pieni e vuoti che si contorcono, equilibrandosi, quasi a chiudersi in se stessi, indomiti.

Curva, sinonimo di delicatezza, giunge a noi con la pacifica sensazione di purezza, data dal sapiente dosaggio delle masse e sottolineata dal profondo contrasto con la forza e la ruvidità del marmo.



La piccola Spirale ci fa sentire la forza del nodo: interiore e/o la stretta della forma ripiegata/dispiegata in una morbida superficie di marmo bianco, compiacente come un abbraccio.


La divergenza si esprime svettante, date le grandi dimensioni della scultura, in Vita Mia, dove una figura sinuosa, irrompe come un diapason di pietra della Maiella, che si dipana in due lembi opposti: divisione interiore, iter vitali diversi che s’impongono, opponendosi l’uno all’altro, paralleli, scelta che incombe, per rifondersi verso l’apice, abbracciati a provocazione delle regole della geometria o come opposites che si ritrovano attraverso un salto quantico. Tensione inarrestabile e riconciliazione.

La caratteristica linea plastica della scultura, la nettezza del taglio delle superfici finemente levigate di Zannoni, o ruvide e talvolta sprezzanti, conducono la luce a formare nitidi chiaroscuri, evocando citazioni provenienti anche dall’ambito dell’arte visuale di ascendenza metafisica, Dalì e la biomeccanica di Giger .
Ulteriore aspetto di rilievo è l’attenzione alla collocazione successiva delle opere.
Le forme estratte dalla materia, subiscono una prima de-contestualizzazione, per ritrovare nel momento post-creativo un nuovo “habitat”.
Molte delle opere di Andrea Zannoni hanno dimensioni grandi e trovano la giusta dimensione in parchi, come quello della Maiella per Vita Mia, o Grugliasco per Onda Labronica.

In tali luoghi pare vadano a sottolineare le linee direttrici della green architecture, evidenziando un’ulteriore contrasto tra il loro essere forme plasmate e definite, che si stagliano sull’intorno selvaggio, da cui traggono la loro origine.
Nei casi delle sculture di piccole o medie dimensioni è fondamentale la scelta del piedistallo, spesso anch’esso in marmo o statuario, che slancia l’opera, permettendone il godimento a tutto tondo.
In questo caso è di fondamentale importanza la cura nell’allestimento dell’esposizione, o nella progettazione degli interni per una casa, dove spazi aperti donano respiro alle opere, i cui pieni e vuoti sono liberi di “dialogare”, equilbrandosi con l’ambiente, come con le prese di luce, donando respiro all’opera e regalando suggestioni di immaterialità e vibrazioni interiori all’osservatore, come all’abitare domestico, che acquista in personalità, riscoprendo angoli nascosti.

1 commento:

Anonimo ha detto...

interessante...