mercoledì 2 marzo 2011

Happytech - macchine dal volto umano


Inaugurata a Bologna il 03 febbraio, grande protagonista di Artefier    a 2011,          Happytech- macchine dal volto umano,
é visitabile dal 22 febbraio al 31 marzo presso
la Triennale Bovisa di Milano.

L'esposizione, che mette a confronto due realtà spesso considerate agli antipodi, quali ARTE e SCIENZA, risulta essere in ultima istanza un progetto relazionale e aperto che s'interroga sul rapporto di quest'ultima con l'essere umano.



Realizzata dalla Fondazione Marino Golinelli in partnership con la Triennale di Milano, a cura di Giovanni Carrada, Cristiana Perrella ed in collaborazione con Silvia Evangelisti, propone un'esplorazione dei paradossi che dividono ed uniscono il rapporto uomo-tecnologia.
Partendo dall'assioma che sia la cultura a nutrire il pianeta, la mostra ha come primo obiettivo la formazione, l'educazione e lo sviluppo di una cultura creativa nei giovani.
Nella società odierna la scienza é considerata metodo, oggettività, pertanto appartenente alla sfera della razionalità.

Fa da contraltare l'espressione della sensorialità e dell'emozionalità, realizzate dalla dimensione della creatività artistica. E' sconosciuto ai più, che tale categorizzazione derivi soltanto da una recente separazione.

Prima del '700, in luoghi in cui era nata la scienza moderna, ma non ancora avvenuta la suddivisione di essa in scienze specialistiche, non esisteva scienziato, che non potesse occuparsi di materie “umanistiche”.

Esisteva, dunque, un mondo in cui il pensiero primo della scienza, come dell'artista, era rivolto all'umano ed al suo sviluppo. Le diverse discipline a cui si attingeva per arrivare a tal fine, non erano altro che punti di vista o strumenti diversi per accedere allo stesso supremo valore.

E la tecnologia? Oggi é la rappresentazione dei risultati degli studi scientifici. E' la risposta pratica alla risoluzione dei problemi dell'uomo. Non crediamo che il rapporto uomo-tecnologia sia per questo pacifico. Esiste, comunque, una sorta di diffidenza di fronte a nuove scoperte “utili”, un'ansia ingenerata forse dal lato più profondo ed irrazionale dell'umano, che continua a farsi sentire, anche se celato. Il perché risiede, forse, in una non-accettazione del progresso, anche se “utile”, poiché dietro ogni problema risolto, sta la tensione per la nascita di un nuovo inaspettato ostacolo, causato dalla soluzione al primo.

W. Brian Arthur, pioniere della teoria della complessità spiega che “In quanto esseri umani, noi non siamo in sintonia con ciò in cui speriamo, che é la tecnologia, ma con qualcosa di diverso. Nel profondo del nostro essere, noi siamo in sintonia con la natura, con il nostro ambiente e la nostra condizione originari. Abbiamo una familiarità con la natura e una fiducia che ci vengono da tre milioni di anni in cui lì ci siamo sentiti a casa.”

Che il problema del nostro tempo risieda nel vedere nella tecnologia, il futuro che arriva troppo in fretta con possibili conseguenze impreviste? Lo sviluppo tecnologico é ormai un destino inevitabile e per accettarlo, a volte anche contro la nostra natura, occorre sviluppare un rapporto di conoscenza e consapevolizzazione del nuovo: una cultura tecnologica.

C'é chi sostiene che la chiave per questa rinnovata comprensione sia incastonata nel significato originario della parola tecnologia, la cui etimologia mette in mostra i due concetti di “logos”, parola e “tecnhe”, arte.
Ecco che il cerchio si chiude intorno alla necessità di trovare una comunicazione tecnologica, per distendere la tensione tra uomo-macchina.
L'arte puo' riuscire ad infondere fiducia nell'essere umano, da essa catturato nel suo lato più intimo e pulsante e creare uno sguardo positivo e di aperta naturalezza nell'accogliere il progresso scientifico? Forse! Il fenomeno artistico puo' mettere in evidenza il trait d'union con la scienza, che non é altro che la caratteristica della creatività ed iniziare grazie ad esso il processo inverso di riunificazione della frammentarietà delle conoscenze e delle verità.

All'interno di questa complessa cornice si sviluppa la mostra Happytech, le cui macchine felici, ci vogliono esortare ad un rapporto più disinvolto con la tecnologia, partendo dalla consapevolezza di un disagio, superabile solo cogliendo entrambi gli estremi dell'evidente dualismo delle reazioni, dinanzi all'immaginario tecnologico.

C'é chi sostiene che l'arte deriva dalla tecnologia, sviluppandosi la prima, grazie al progresso della seconda.

Esistono fondamentalmente due visioni che si dividono la scena: l'interpretazione “ottimistica”e “fiduciosa” di Nam June Paik, uno dei padri fondatori della video-arte che con Global Groove, video-installazione realizzata con John Godfrey, attraverso la ricerca della bellezza formale sfumata da una vena utopistica nella sperimentazione linguistica, sostiene un'arte che, grazie all'ausilio delle nuove tecnologie, giunga direttamente al fruitore e che tale “immediatezza” possa essere strumento per una ridefinizione dell'ambiente socio-culturale.

Opposta, invece, é l'interpretazione artistica “apocalittica”, che nutre il sospetto in una tecnologia “disumanizzante”, tesa all'appiattimento culturale, come denunciato dall'altro padre fondatore della video-arte, come Wolf Vostell.

La selezione di artisti, invitati a partecipare alla mostra, é stata effettuata, cercando di coprire le diverse sfaccettature del binomio uomo-tecnologia.

Bill Viola con The Innocents, cerca di oltrepassare il mezzo tecnologico per descrivere l'angoscioso status di essere umano, attraverso i suoi “quadri in movimento”.

Proiezioni avanguardistiche su oggetti sferici e bambole di pezza per Tony Ousler, la vita iniettata in oggetti inanimati con i suoi effetti spiazzanti.

Artisti che affrontano la tematica dell'uomo di fronte agli effetti devastanti o di miglioramento offerti dalla tecnologia: arte monito come nel caso di Armin Linke e il dibattito sul nucleare o Rainer Ganhal e le possibilità di miglioramento dello stile di vita.

Thomas Kirchhoff si confronta con la capacità di comunicare e registrare la memoria di una società, calandoci in atmosfere retrò, da film su pellicola in b/n, rendendo protagoniste dei suoi quadri fermo immagine, tecnologie desuete, come telefoni in bachelite o grandi microfoni vintage '60.

Tony Cragg guarda al technologic world in Aeroplane con l'idea di emancipazione, di creare dagli scarti dello stesso, nuove entità.

Per la sezione Visionari, impossibile non citare i lavori di Bruno Munari, “Macchina aritmica” e di Piero Fogliatti, “Macchina che respira”, artisti di diversa ascendenza e generazione esortano attraverso i loro lavori a pensare alle macchine, come dotate di un'intrinseca vitalità organica.

Essere umano spinto al limite epidermico e mentale con Thomas Ruff, in Cassini31, utopia di realizzare ancora ciò che non ci é possibile.

Tentativo, quest'ultimo portato alle sue estreme conseguenze dall'opera Aujourd'hui, in cui Pipillotti Rist, mette in scena un potenziamento della visione solo immaginata, desiderio di fuga e di riappriopriarsi di una natura sauvage e primigenia.

Con Tom Sachs, l'ironia irrompe nel tecnhologic core con Extravehicular Mobility Unit (EMU) display Florida.

Happytech conduce l'essere umano, dunque, su un percorso circolare, in cui ARTE, SCIENZA e TECNOLOGIA appaiono diverse declinazioni di un unicum. Un viaggio all'interno del profondo bisogno umano di cultura, dunque, di conoscere se stesso.



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